Palestina con Galilea e Giudea
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La « conversione » di Costantino, se questa è la parola appropriata, non fu affatto cristiana, ma clamorosamente pagana. Sembra che egli avesse avuto una specie di visione, o di esperienza numinosa, nel recinto di un tempio pagano consacrato all'Apollo gallico, nei Vosgi o presso Autun. Secondo un testimone che a quel tempo accompagnava l'esercito di Costantino, fu una visione del dio Sole, adorato da certe sette con il nome di Sol Invictus, « Sole Invitto ». E Costantino, poco prima della visione, era stato iniziato al culto del Sole Invitto. Comunque il Senato romano, dopo la battaglia di Ponte Milvio, eresse un arco di trionfo nel Colosseo. Secondo l'iscrizione dell'arco, la vittoria di Costantino fu ottenuta « per ispirazione della Divinità ». Ma la Divinità in questione non era Gesù. Era il Sole Invitto, il dio pagano. (2)
Contrariamente alla tradizione, Costantino non fece del cristianesimo la religione di Stato dell'Impero. La religione di Stato, sotto Costantino, era il culto pagano del sole; e per tutta la vita Costantino ne fu il sommo sacerdote. Anzi, il suo regno veniva chiamato l'« impero solare » e il Sole Invitto figurava dovunque, inclusi gli stendardi imperiali e le monete. L'immagine di Costantino quale fervente neofita del cristianesimo è chiaramente infondata. L'imperatore fu battezzato solo nel 337, quando giaceva sul letto di morte ed era troppo debole o troppo apatico per opporsi. E non si può attribuire a lui neppure il monogramma Chi Rho. Un'iscrizione con questo monogramma è stata ritrovata su una tomba di Pompei che risale a due secoli e mezzo prima. (3)
Il culto del Sole Invitto era d'origine siriana, e venne imposto dagli imperatori romani ai loro sudditi un secolo prima di Costantino. Sebbene includesse elementi del culto di Baal e di Astarte, era sostanzialmente monoteistico, e in effetti presentava il dio del sole come la summa degli attributi di tutti gli altri dei; quindi assorbiva pacificamente in sé i suoi potenziali rivali. Inoltre, era utilmente armonizzato con il culto di Mitra, che a quei tempi aveva un posto importante a Roma e nell'impero, e che comportava anch'esso l'adorazione del sole.
A Costantino il culto del Sole Invitto, molto semplicemente, faceva comodo. Il suo obiettivo principale e assillante era l'unità: in politica, nella religione e nell'assetto territoriale. Una religione di Stato che riassumeva in sé tutti gli altri culti favoriva chiaramente questo obiettivo. E fu sotto gli auspici del culto del Sole Invitto che il cristianesimo consolidò la sua posizione.
L'ortodossia cristiana aveva molto in comune con il culto del Sole Invitto, e quindi poté fiorire indisturbata all'ombra dello spirito tollerante di quest'ultimo. Il culto del Sole Invitto, essendo sostanzialmente monoteistico, spianò la strada al monoteismo cristiano. Inoltre, era utile anche sotto altri aspetti; aspetti che modificarono e nel contempo agevolarono la diffusione del cristianesimo. Con un editto promulgato nel 321 d.C., ad esempio, Costantino ordinò che i tribunali restassero chiusi nel « venerabile giorno del sole », e stabilì che quel giorno doveva essere dedicato al riposo. Fino a quel momento, il cristianesimo aveva considerato sacro il sabbath ebraico. Obbedendo all'editto costantiniano, scelse come giorno sacro la domenica. Questo non soltanto lo metteva in armonia con il regime esistente, ma lo distanziava ancora di più dalle sue origini giudaiche. Fino al IV secolo, inoltre, la nascita di Gesù era stata celebrata il 6 gennaio. Ma per il culto del Sole Invitto il giorno più importante dell'anno era il 25 dicembre, la festa del Natalis Invictus, la nascita (o la rinascita) del sole, quando le giornate ricominciano ad allungarsi. Anche in questo, il cristianesimo si allineò con il regime e la religione di Stato. (Gli antichi Romani celebravano anche la settimana del solstizio di inverno (i Saturnali) per propiziare un ritorno dell'estate con ricche messi e cibo abbondante. I Saturnali fino all'epoca di Augusto duravano tre giorni, poi furono portati a sette. Col diffondersi del cristianesimo, i Saturnali vennero assorbiti dalla nuova religione e poco dopo il 300 il 25 dicembre era diventato il giorno della nascita di Cristo al posto della nascita del Sole. [N.d.R.])
Il culto del Sole Invitto si fondeva felicemente con quello di Mitra, al punto di confondersi con esso. (4) Entrambi esaltavano il sole, entrambi avevano come giorno sacro la domenica. Entrambi celebravano una festività natale il 25 dicembre. Quindi il cristianesimo poteva trovare una certa convergenza anche con il mitraismo, tanto più che il mitraismo propugnava l'immortalità dell'anima, un futuro giudizio e la resurrezione dei morti.
Per favorire l'unità, Costantino sfumò volutamente le distinzioni fra il cristianesimo, il mitraismo e il culto del Sole Invitto, e finse che tra essi non vi fossero contraddizioni. Di conseguenza tollerava il Gesù deificato come una manifestazione terrena del Sole Invitto, Quindi era capace di erigere una chiesa cristiana e, nel contempo, statue della Dea Madre Cibele e del Sole Invitto: quest'ultima statua aveva le fattezze dello stesso imperatore. In questi gesti eclettici ed ecumenici si può scorgere ancora una volta l'importanza attribuita all'unità. La fede, insomma, per Costantino era una questione politica; e ogni fede che favorisse l'unità veniva trattata con tolleranza.
Perciò, sebbene Costammo non fosse affatto il « buon cristiano » dipinto dalla tradizione più tarda, in nome dell'unità e dell'uniformità consolidò la posizione dell'ortodossia cristiana. Nel 325 d.C., ad esempio, convocò il Concilio di Nicea. In questo concilio fu fissata la data della Pasqua. Furono stabilite regole che definivano l'autorità dei vescovi e spianavano quindi la strada a una concentrazione del potere nelle mani degli ecclesiastici. E cosa ancora più importante, il Concilio di Nicea decise, con una votazione, (5) che Gesù era un dio e non un profeta mortale. Ancora una volta, però, si deve ricordare che a Costantino stava a cuore l'unità e non la pietà religiosa. Come Dio, Gesù poteva venire opportunamente associato al Sole Invitto. Come profeta mortale, sarebbe stato più difficile dargli una collocazione. Insomma, l'ortodossia cristiana si prestava a una fusione politicamente auspicabile con la religione ufficiale di Stato; e per questo Costantino le diede il suo appoggio.
E fu così che, un anno dopo il Concilio di Nicea, sanzionò la confisca e la distruzione di tutte le opere che contestavano gli insegnamenti ortodossi: le opere degli autori pagani che parlavano di Gesù e quelle dei cristiani « eretici ». Stabilì inoltre che alla Chiesa fosse assegnata una rendita fissa, e insediò il vescovo di Roma nel palazzo del Laterano. (6) Poi, nel 331 d.C. commissionò e finanziò nuove copie della Bibbia. Questo fu uno dei fattori decisivi nell'intera storia del cristianesimo, e offrì un'occasione senza precedenti per l'affermazione dell'ortodossia cristiana dei « seguaci del messaggio ».
Nel 303 d.C., un quarto di secolo prima, l'imperatore pagano Diocleziano aveva ordinato di distruggere tutti gli scritti cristiani che era possibile trovare. Quindi i documenti cristiani, soprattutto a Roma, erano quasi spariti. Quando Costantino commissionò nuove versioni di questi documenti, ciò permise ai custodi dell'ortodossia di revisionare, modificare e riscrivere il materiale come ritenevano più opportuno, secondo le loro dottrine. Fu a questo punto che vennero apportate probabilmente quasi tutte le alterazioni decisive al Nuovo Testamento, e Gesù assunse la posizione eccezionale che ha avuto da allora. Non si deve sottovalutare l'importanza della commissione costantiniana. Delle cinquemila versioni manoscritte più antiche del Nuovo Testamento, nessuna è anteriore al IV secolo. (7) Il Nuovo Testamento, nella sua forma attuale, è sostanzialmente il prodotto dei revisori e degli scrittori del IV secolo: custodi dell'ortodossia, « seguaci del messaggio » con precisi interessi da difendere.
Gli Zeloti
Dopo Costantino, il corso dell'ortodossia cristiana è piuttosto noto e ben documentato. È superfluo aggiungere che culminò con il trionfo finale dei « seguaci del messaggio ». Ma se « il messaggio » si affermò come il principio guida della civiltà occidentale, non rimase del tutto incontestato. A quanto sembra le rivendicazioni e l'esistenza stessa della famiglia, che pure era esule e in incognito, esercitarono un grande fascino, un fascino che finì per rappresentare una frequente minaccia per l'ortodossia di Roma.
L'ortodossia romana si basa essenzialmente sui libri del Nuovo Testamento. Ma il Nuovo Testamento non è altro che una selezione di documenti protocristiani risalenti al IV secolo. Vi sono però molte altre opere più antiche del Nuovo Testamento nella sua forma attuale, e alcune gettano una nuova luce, significativa e spesso polemica, sulle versioni accettate.
Vi sono, ad esempio, i vari libri esclusi dalla Bibbia, che formano la compilazione oggi conosciuta come « gli Apocrifi ». Alcune delle opere incluse negli Apocrifi sono indubbiamente tarde, e furono composte nel VI secolo. Altre, però, erano in circolazione già nel II secolo, e potrebbero rivendicare una veridicità pari a quella degli stessi Vangeli originali.
Una di queste opere è il Vangelo di Pietro, di cui fu trovata una copia in una valle dell'alto Nilo nel 1886, sebbena venga menzionato dal vescovo di Antiochia nel 180 d.C. Secondo questo Vangelo « apocrifo », Giuseppe d'Arimatea era intimo amico di Ponzio Filato. E se questo fosse vero accrescerebbe la verosimiglianza di una falsa Crocifissione. Il Vangelo di Pietro riferisce inoltre che la tomba in cui fu sepolto Gesù si trovava in un luogo chiamato « il giardino di Giuseppe ». E le ultime parole di Gesù sulla croce sono particolarmente inquietanti: « Mio potere, mio potere, perché mi hai abbandonato? ». (8)
Un'altra opera apocrifa interessante è il Vangelo dell'Infanzia di Gesù Cristo, non posteriore al II secolo e forse ancora più antico. In questo libro, Gesù è presentato come un bambino geniale ma eminentemente umano. Forse fin troppo umano, perché è violento e indisciplinato, portato a sconvolgenti manifestazioni e a un uso piuttosto irresponsabile dei suoi poteri. Anzi, una volta uccide un altro bambino che lo ha offeso. La stessa sorte tocca a un mentore troppo autocratico. Si tratta di episodi indubbiamente spuri; ma mostrano il modo in cui, a quel tempo, doveva venire rappresentato Gesù perché acquisisse una posizione divina agli occhi dei suoi seguaci.
Oltre al comportamento piuttosto deplorevole di Gesù bambino, nel Vangelo dell'Infanzia c'è un episodio curioso e forse significativo. Quando Gesù venne circonciso, della pelle del prepuzio si sarebbe appropriata una vecchia non meglio identificata, che la conservò in uno scrigno d'alabastro, usato per l'olio di nardo. E « questo fu lo scrigno d'alabastro che Maria la peccatrice si procurò e da esso versò l'unguento sulla testa e i piedi di nostro Signore Gesù Cristo ». (9)
Anche qui, dunque, come nei Vangeli canonici, incontriamo un'unzione che evidentemente è più di quel che sembra: un'unzione equivalente a un rito significativo. E l'episodio implica una connessione, per quanto oscura e tortuosa, tra la Maddalena e la famiglia di Gesù molto tempo prima che Gesù iniziasse il suo magistero all'età di trent'anni. È ragionevole presumere che i genitori di Gesù non avrebbero consegnato la pelle del suo prepuzio alla prima vecchia che l'avesse domandata, anche se non vi fosse stato nulla di insolito in una richiesta apparentemente stranissima. Quindi la vecchia doveva essere una persona importante, o aveva stretti rapporti con i genitori di Gesù. E il fatto che in seguito la Maddalena risulti in possesso della bizzarra reliquia, o almeno del suo contenitore, indica qualche legame tra lei e la vecchia. Ancora una volta, a quanto pare, ci troviamo di fronte alle vestigia nebulose di qualcosa che era più importante di quanto in genere oggi si creda.
Certi passi dei Vangeli Apocrifi - ad esempio, gli eccessi clamorosi dell'infanzia di Gesù - erano senza dubbio imbarazzanti per l'ortodossia dei tempi successivi. Lo sarebbero certamente per quasi tutti i cristiani dei nostri giorni. Ma dobbiamo ricordare che gli Apocrifi, come i libri canonici del Nuovo Testamento, furono composti da « seguaci del messaggio » impegnati a divinizzare Gesù. Quindi, non possiamo attenderci che gli Apocrifi contengano qualcosa che comprometterebbe il « messaggio » come lo comprometterebbe evidentemente ogni accenno all'attività politica di Gesù, e ancor più alle sue possibili ambizioni dinastiche. Eravamo costretti a cercare altrove le testimonianze su queste vicende tanto controverse.
La Terrasanta, al tempo di Gesù, ospitava un numero sbalorditivo di gruppi, fazioni, sette e sottosette. Nei Vangeli ne sono citati soltanto due, i farisei e i sadducei, ed entrambi vengono presentati in modo negativo. Tuttavia, il ruolo di malvagi sarebbe stato adatto soltanto ai sadducei, che collaboravano con l'amministrazione romana. I farisei erano fermamente ostili a Roma, e lo stesso Gesù, se anche non era fariseo, si comportava sostanzialmente secondo la loro tradizione. (10)
Per accattivarsi il pubblico romanizzato, i Vangeli erano costretti a scagionare Roma e ad accusare gli Ebrei. Questo spiega perché i farisei furono calunniati, e stigmatizzati insieme ai loro compatrioti veramente colpevoli, i sadducei. Ma perché nei Vangeli non vengono mai nominati gli zeloti, i « combattenti della libertà » nazionalisti e rivoluzionari che un pubblico romano avrebbe visto ben volentieri nella parte dei malvagi? Sembrerebbe che non esista una spiegazione per la loro apparente esclusione dai Vangeli, a meno che Gesù fosse legato a loro tanto strettamente che il legame non poteva venire rinnegato ma semplicemente « dimenticato » e quindi nascosto. Come afferma il professor Brandon: « II silenzio dei Vangeli circa gli zeloti... deve indicare sicuramente una relazione, tra Gesù e questi patrioti, che gli evangelisti preferirono non rivelare ». (11)
Qualunque fosse il possibile rapporto tra Gesù e gli zeloti, senza dubbio venne crocifisso come uno di loro. Anzi, i due uomini che furono crocifìssi con lui sono esplicitamente qualificati come lestai, il termine usato dai Romani per indicare gli zeloti. È dubbio che Gesù fosse veramente uno zelota. Tuttavia nei Vangeli, in certi momenti, da prova di un militarismo aggressivo paragonabile al loro. In un passato tanto famoso quanto imbarazzante, egli annuncia che è venuto « non per portare la pace, bensì una spada ». Nel Vangelo di Luca, esorta i suoi seguaci che non hanno una spada a procurarsene una (Luca 22:36); e poi, personalmente, accerta e approva che siano armati dopo la cena pasquale (Luca 22:38). Nel Quarto Vangelo, Simon Pietro porta in effetti una spada, quando Gesù viene arrestato. È difficile conciliare queste indicazioni con l'immagine convenzionale di un salvatore mite e pacifista. Questo salvatore avrebbe approvato le armi, soprattutto se a portarle fosse stato uno dei suoi discepoli prediletti, quello sul quale avrebbe fondato la sua Chiesa?
Se Gesù non era uno zelota, i Vangeli - quasi contro le loro intenzioni, si direbbe - rivelano e confermano i suoi legami con quella fazione militante. La testimonianza che associa Barabba a Gesù è convincente; e anche Barabba viene descritto come un lestes. Giacomo, Giovanni e Simon Pietro hanno tutti appellativi che potrebbero alludere obliquamente a simpatie per gli zeloti, se non a una regolare militanza. Secondo vari autori moderni, Giuda Iscariota deriva da « Giuda il Sicario », e « sicari » era un altro termine usato per indicare gli zeloti, ed era intercambiabile con lestai. Anzi, sembra che i sicari formassero un'elite nei ranghi degli zeloti, un corpo d'assalto di professionisti dell'assassinio politico. E c'è il discepolo conosciuto come Simone. Nella versione greca di Marco, Simone è chiamato Kananaios, una translitterazione greca della parola aramaica che significa zelota. Nella versione inglese della Bibbia di re Giacomo, la parola greca è tradotta in modo errato, e Simone vi appare come « Simone il Cananeo ». Ma il Vangelo di Luca non lascia adito a dubbi. Simone è chiaramente identificato come uno zelota, e persino la Bibbia di re Giacomo lo presenta come « Simone lo Zelota ». Sembra quindi incontestabile che Gesù avesse almeno uno zelota tra i suoi seguaci.
Gli Esseni
Gli Esseni
Se l'assenza - o meglio, l'apparente assenza - degli zeloti nei Vangeli è sorprendente, lo è anche quella degli esseni. Nella Terrasanta del tempo di Gesù, gli esseni costituivano una setta importante quanto i farisei e i sadducei, ed è inconcepibile che Gesù non venisse in contatto con loro. Anzi, a giudicare dal modo in cui viene presentato, Giovanni Battista sembra un esseno. L'omissione di ogni riferimento agli esseni appare dettata dalle stesse ragioni che imposero l'omissione di tutti i riferimenti agli zeloti. Insomma, i legami tra Gesù e gli esseni, come quelli con gli zeloti, erano probabilmente troppo stretti e troppo noti perché fosse possibile smentirli. Si poteva soltanto sorvolare e nasconderli.
Dagli storici e dai cronisti che scrissero in quel tempo, apprendiamo che gli esseni avevano comunità in tutta la Terrasanta, e probabilmente anche altrove. Cominciarono ad apparire intorno al 150 a.C., e adottavano l'Antico Testamento, ma lo interpretavano più come un'allegoria che come una verità storica letterale. Ripudiavano l'ebraismo convenzionale a favore di una forma di dualismo gnostico che, sembra, includeva elementi del culto solare e del pensiero pitagorico. Erano guaritori, molto apprezzati per la loro conoscenza delle tecniche terapeutiche. E infine erano asceti, e si distinguevano facilmente per i loro semplici abiti bianchi.
Quasi tutti gli specialisti moderni ritengono che i famosi Rotoli del Mar Morto scoperti a Qumran siano essenzialmente documenti esseni. E senza alcun dubbio la setta di asceti che viveva a Qumram aveva molte cose in comune con il pensiero esseno. Come l'insegnamento degli esseni, i Rotoli del Mar Morto rispecchiano una teologia dualista. Nel contempo, danno un grande rilievo alla venuta di un Messia - un « unto » - disceso dalla stirpe di Davide. (12)
Inoltre seguono uno speciale calendario, secondo il quale il rito della Pasqua veniva celebrato non già di venerdì, bensì di mercoledì: il che corrisponde al rito pasquale di cui si parla nel Quarto Vangelo. E coincidono parola per parola, in molti aspetti significativi, con alcuni degli insegnamenti di Gesù. Come minimo, si direbbe che Gesù conoscesse gli eremiti di Qumran e, almeno fino a un certo punto, armonizzasse i suoi insegnamenti con i loro. Un esperto moderno ritiene che i Rotoli del Mar Morto « offrono altri motivi per credere che molti episodi [del Nuovo Testamento] siano semplicemente proiezioni, nella storia di Gesù, dei fatti che ci si attendeva dal Messia ». (13)
Indipendentemente dal fatto che la setta di Qumran fosse essena o no, sembra chiaro che Gesù, anche se non ebbe una regolare preparazione essena, conoscesse molto bene quel pensiero. Anzi, molti dei suoi insegnamenti echeggiano quelli ascritti agli esseni. E così pure le sue attitudini di guaritore fanno pensare a un'influenza essena. Ma un esame più attento dei Vangeli rivela che gli esseni ebbero forse una parte ancora più significativa nella vita di Gesù.
Gli esseni si identificavano facilmente per le vesti bianche che, nonostante quanto mostrano la pittura e il cinema, a quel tempo in Terrasanta erano meno comuni di quanto in genere si creda. Nel Vangelo « segreto » di Marco, una veste di lino bianco ha un ruolo rituale importante, e più tardi ricorre anche nella versione canonica.
Se Gesù compiva iniziazioni misteriche a Betania o altro, la veste di lino bianco fa pensare che tali iniziazioni avessero carattere esseno. E c'è di più: il motivo della veste di lino bianco riappare più tardi in tutti i Quattro Vangeli. Dopo la Crocifissione, il corpo di Gesù scompare « miracolosamente » dalla tomba, nella quale viene visto almeno un personaggio biancovestito. In Matteo è un angelo che porta un « vestito bianco come la neve » (28:3). In Marco è « un giovane vestito d'una veste bianca » (16:5). Luca narra che apparvero « due uomini... in vesti sfolgoranti » (24:4), mentre il Quarto Vangelo parla di « due angeli in bianche vesti » (20:12). In due versioni su quattro, al personaggio o ai personaggi visti nella tomba non viene neppure attribuito un rango sovrannaturale. Presumibilmente sono semplici mortali; tuttavia si direbbe che i discepoli non li conoscano. È ragionevole supporre che siano esseni. E se ricordiamo che gli esseni avevano doti di guaritori, c'è una supposizione che diviene ancora più sostenibile. Se, quando fu deposto dalla croce, Gesù era ancora vivo, è evidente che sarebbe stato necessario l'intervento di un guaritore. E anche se era morto, è probabile che un guaritore sarebbe stato presente comunque, se non altro come « ultima speranza ». E a quel tempo, in Terrasanta non c'erano guaritori più stimati degli esseni.
Secondo il nostro « scenario », su un terreno privato e con la collusione di Pilato, una Crocifissione simulata fu organizzata da certi sostenitori di Gesù. Più precisamente, non sarebbe stata orchestrata dai « seguaci del messaggio », bensì dai seguaci della stirpe: i familiari, insomma, altri aristocratici e appartenenti alla cerchia più intima. È possibile che questi personaggi avessero rapporti con gli esseni, o fossero esseni loro stessi. Tuttavia, lo stratagemma non sarebbe stato rivelato ai « seguaci del messaggio », i « soldati semplici » del seguito di Gesù, dei quali Simon Pietro è il tipico rappresentante.
Gesù, trasportato nella tomba di Giuseppe d'Arimatea, avrebbe avuto necessità di cure mediche, e quindi sarebbe stato presente un guaritore esseno. E successivamente, quando si scoprì che la tomba era vuota, sarebbe stata necessaria la presenza di un emissario: un emissario sconosciuto ai « soldati semplici ». Avrebbe avuto il compito di rassicurare gli ignari « seguaci del messaggio », fungere da intermediario tra Gesù e i suoi discepoli, ed evitare che contro i Romani venissero rivolte accuse di profanazione della tomba, che avrebbero potuto provocare gravi disordini.
Indipendentemente dal fatto che questo « scenario » fosse esatto o no, ci sembrava abbastanza evidente che Gesù era associato strettamente agli esseni non meno che agli zeloti. A prima vista potrebbe apparire strano, perché spesso si immagina che vi fosse incompatibilità tra zeloti ed esseni. Gli zeloti erano aggressivi, violenti, militaristi, e non rifuggivano dal praticare l'assassinio politico e il terrorismo. Gli esseni, invece, spesso vengono presentati come una setta distaccata dalla politica, quietista, pacifista e mite. In realtà, invece, c'erano numerosi esseni tra le file degli zeloti, perché gli zeloti non erano una setta, bensì una fazione politica. E in quanto fazione politica, reclutavano i loro aderenti non soltanto tra i farisei antiromani, ma anche tra gli esseni, che sapevano essere aggressivamente nazionalisti quanto chiunque altro.
L'associazione tra gli zeloti e gli esseni è evidente in particolare negli scritti di Giuseppe Flavio, dai quali derivano in gran parte le notizie disponibili oggi sulla Palestina di quei tempi. Joseph ben Matthias era nato nel 37 d.C. e apparteneva all'aristocrazia giudaica. All'inizio della rivolta del 66 d.C. fu nominato governatore della Galilea, dove assunse il comando delle forze schierate contro i Romani. Come comandante militare si rivelò, sembra, molto inetto, e molto presto fu catturato dall'imperatore romano Vespasiano. Diventò poi collaborazionista. Assunse il nome romanizzato di Giuseppe Flavio, divenne cittadino romano, divorziò dalla moglie e sposò un'ereditiera romana, e accettò ricchi doni dall'imperatore romano, inclusi un appartamento nel palazzo imperiale e terreni confiscati agli Ebrei in Terrasanta. Le sue copiose cronache incominciarono ad apparire poco prima della sua morte, avvenuta nel 100 d. C.
Nella Guerra giudaica, Giuseppe Flavio fa un resoconto dettagliato dell'insurrezione del 66-74 d.C. Anzi, fu appunto da Giuseppe che gli storici successivi appresero quasi tutto ciò che si sa circa quella rivolta disastrosa, il sacco di Gerusalemme e la distruzione del Tempio. E l'opera di Giuseppe contiene l'unico resoconto della caduta (74 d.C.) della fortezza di Masada, situata all'angolo sud-occidentale del Mar Morto.
Come Montségur dodici secoli dopo, Masada è diventata un simbolo di tenacia, di eroismo e di martirio in difesa di una causa perduta. Come Montségur, continuò a resistere all'invasore per molto tempo, dopo che ogni altra resistenza organizzata era finita. Mentre il resto della Palestina crollava sotto l'attacco di Romani, Masada rimase inespugnabile. Alla fine, nel 74 d.C., la posizione divenne insostenibile. Dopo un prolungato bombardamento con le macchine d'assedio, i Romani installarono una rampa che li mise in grado di sfondare le difese. La notte del 15 aprile si prepararono all'assalto decisivo. La stessa notte tutti coloro che restavano nella fortezza, 960 persone tra uomini, donne e bambine, si suicidarono. Quando i Romani, al mattino seguente, sfondarono le porte, trovarono soltanto i cadaveri tra le fiamme.
Giuseppe accompagnò le truppe romane che entrarono nel guscio svuotato di Masada la mattina del 16 aprile. Afferma di aver visto con i suoi occhi tutti quei morti. E afferma di aver parlato con tre superstiti del disastro, una donna e due bambini che si erano nascosti nelle gallerie sotterranee della fortezza mentre gli altri difensori si uccidevano. Dai superstiti, Giuseppe venne a sapere dettagliatamente ciò che era accaduto nella notte. Secondo questo racconto il comandante della guarnigione si chiamava Eleazar: una variante di Lazzaro, e questo è piuttosto interessante. E a quanto sembra era stato Eleazar che, con la sua eloquenza persuasiva e carismatica, aveva spinto i difensori a prendere la tragica decisione. Nella sua cronaca, Giuseppe riporta i discorsi di Eleazar, che afferma di aver appreso dai superstiti. Questi discorsi sono estremente interessanti. La storia riferisce che Masada era difesa da zeloti militanti. Lo stesso Giuseppe usa le parole « zeloti » e « sicari » come intercambiabili. Tuttavia i discorsi di Eleazar non hanno neppure un convenzionale carattere giudaico. Al contrario, sono inequivocabilmente esseni, gnostici e dualisti:
“Da gran tempo, infatti, e sin da quando la nostra mente ha cominciato ad aprirsi, la disciplina tradizionale e i precetti divini ci hanno sempre insegnato - e i nostri avi ce l'hanno confermato con il loro agire e con il loro pensare - che per gli uomini è una disgrazia vivere, non morire. La morte infatti, donando la libertà alle anime, fa sì che esse possano raggiungere quel luogo di purezza che è la loro sede propria, dove andranno esenti da ogni calamità, mentre finché sono prigioniere in un corpo mortale, schiacciate sotto il peso dei suoi malanni, allora sì che esse son morte, se vogliamo dire il vero; infatti il divino mal s'adatta a coesistere col mortale. Senza dubbio, grandi cose può realizzare l'anima anche quando è prigioniera di un corpo; essa infatti fa di questo il suo organo di percezione e invisibilmente lo muove e lo guida a compiere opere che vanno al di là della sua natura mortale; ma una volta che, affrancata dal peso che la trascina in basso verso la terra e ve la tiene avvinta, essa raggiunge la sua sede naturale, allora partecipa di un potere straordinario e di una forza che non patisce alcuna limitazione, continuando ad essere invisibile agli occhi umani come lo stesso Dio. Essa infatti non è visibile nemmeno quando abita in un corpo: invisibilmente vi entra e invisibilmente se ne allontana, e mentre per sé conserva la sua identica natura incorruttibile, provoca la trasformazione del corpo. Tutto ciò che è toccato dall'anima vive e fiorisce, tutto ciò da cui essa si diparte avvizzisce e muore: così grande è la sua carica d'immortalità!” (14)
E ancora:
“Costoro [i filosofi indiani] infatti, ed è gente di prim'ordine, sopportano a malincuore il periodo della vita come un debito da pagare alla natura, e non vedono l'ora di liberare le anime dai corpi; senza che alcun male li affligga o li costringa ad andarsene, presi dal desiderio della vita immortale, preannunziano agli altri di essere prossimi alla dipartita.” (15)
È straordinario che nessuno studioso, a quanto ci risulta, abbia mai commentato questi discorsi, perché sollevano una quantità di interrogativi interessanti. La religione ebraica ortodossa, ad esempio, non parla mai di un'« anima », e tanto meno di un'anima « immortale » e « imperitura ». Anzi, il concetto dell'anima e dell'immortalità è estraneo alla corrente principale del pensiero e della tradizione ebraica. E altrettanto estranee sono la supremazia dello spirito sulla materia, l'unione con Dio al momento della morte e la condanna della vita come un male. Queste concezioni derivano in modo inequivocabile da una tradizione misterica. Sono chiaramente gnostiche e dualiste; e nel contesto di Masada sono tipicamente essene.
Alcune di queste concezioni, naturalmente, possono essere considerate in un certo senso « cristiane »; non inevitabilmente nel modo in cui il termine venne a definirsi in seguito, ma nel senso in cui avrebbe potuto riferirsi ai primi seguaci di Gesù, ad esempio coloro che desideravano morire con Lazzaro nel Quarto Vangelo. È possibile che tra i difensori di Masada vi fossero sostenitori della stirpe di Gesù. Durante la rivolta del 66-74 d.C. vi furono numerosi « cristiani » che combatterono contro i Romani con lo stesso accanimento degli Ebrei. Molti zeloti, anzi, potrebbero essere chiamati « protocristiani », ed è molto probabile che alcuni di loro fossero a Masada.
Naturalmente, questo Giuseppe non lo dice; e anche se l'avesse detto, il riferimento sarebbe stato espunto in seguito dai revisori. Nel contempo, sarebbe logico attendersi che Giuseppe, scrivendo una storia della Palestina durante il I secolo, accenni a Gesù. Certo, molte edizioni più tarde della sua opera contengono riferimenti del genere; ma sono conformi al personaggio di Gesù come viene presentato dall'ortodossia, e quasi tutti gli studiosi moderni li considerano interpolazioni spurie, non anteriori al tempo di Costantino. Tuttavia, nel XIX secolo fu scoperta in Russia un'edizione diversa da tutte le altre. Il testo, tradotto in russo antico, risaliva approssimativamente al 1261. L'uomo che lo trascrisse, evidentemente, non era un ebreo ortodosso, perché conservò molte allusioni « filocristiane ». Eppure Gesù, in questa versione dell'opera di Giuseppe, è presentato come umano; è un rivoluzionario politico e un « re che non regnò ». (16)
E inoltre viene detto che « aveva una scriminatura come i nazirei ». (17)
E inoltre viene detto che « aveva una scriminatura come i nazirei ». (17)
Gli specialisti hanno consumato molta carta e molta energia per discutere la possibile autenticità di quello che oggi è chiamato il « Giuseppe slavo ». Tutto considerato, noi eravamo propensi a ritenerlo più o meno autentico: una trascrizione tratta da una o più copie di Giuseppe sopravvissute alla distruzione dei documenti cristiani ordinata da Diocleziano e sfuggite alla zelo censorio dell'ortodossia reinsediata al tempo di Costantino. Le ragioni della nostra conclusione sono numerose. Se il Giuseppe slavo fosse un falso, ad esempio, quali interessi avrebbe dovuto servire? La presentazione di Gesù come un re diffìcilmente sarebbe stata gradita a un pubblico ebreo del XIII secolo. E la presentazione di Gesù come umano sarebbe stata ancora meno gradita ai cristiani della stessa epoca. Ma c'è di più: Origene, un padre della Chiesa che scrisse all'inizio del III secolo, allude a una versione di Giuseppe che nega a Gesù il ruolo di Messia. (18)
Questa versione, che forse era originale e autentica, potrebbe aver fornito il testo del Giuseppe slavo.
Questa versione, che forse era originale e autentica, potrebbe aver fornito il testo del Giuseppe slavo.
Gli scritti gnostici
L'insurrezione del 66-74 d.C. fu seguita sessant'anni dopo, tra il 132 e il 135, da una seconda grande rivolta. La conseguenza fu che tutti gli Ebrei vennero ufficialmente espulsi da Gerusalemme, e questa diventò una città romana. Ma già al tempo della prima ribellione la storia aveva cominciato a tirare un velo sugli avvenimenti della Terrasanta; e per altri due secoli non esiste virtualmente nessuna documentazione. Quel periodo non è diverso da certi momenti della storia d'Europa durante i cosiddetti « secoli bui ». Si sa comunque che numerosi Ebrei rimasero nel territorio, anche se non a Gerusalemme. Vi rimasero anche molti cristiani. E c'era persino una setta di Ebrei, gli ebioniti, che pur attenendosi in generale alla loro fede, onoravano Gesù come un profeta, per quanto mortale.
Ma il vero spirito del giudaismo e del cristianesimo si allontanò dalla Terrasanta. Quasi tutta la popolazione ebraica della Palestina si disperse in una diaspora simile a quella avvenuta circa settecento anni prima, quando Gerusalemme era stata conquistata dai Babilonesi. E anche il cristianesimo cominciò a emigrare attraverso il globo: in Asia Minore, in Grecia, a Roma, in Gallia, in Britannia, nell'Africa settentrionale. Non è affatto sorprendente che in tutto il mondo civile incominciassero a spuntare versioni contrastanti di ciò che era accaduto intorno al 33 d.C.
E nonostante gli sforzi di Clemente d'Alessandria, Ireneo e altri come loro, queste versioni, bollate ufficialmente come « eresie », continuarono a fiorire. Alcune derivavano senza dubbio da una conoscenza diretta, conservata tanto da Ebrei ortodossi quanto da gruppi come gli ebioniti, Ebrei convertiti a una forma di cristianesimo. Altre versioni erano chiaramente basate su leggende e voci, sulla mescolanza di dottrine in voga come le tradizioni misteriche egizie, ellenistiche e mitraiche. Quali che fossero le loro fonti precise, causavano gravi inquietudini ai « seguaci del messaggio », l'ortodossia in fase di formazione che si sforzava di consolidare la propria posizione.
Le notizie sulle « eresie » più antiche sono scarse. La conoscenza che ne abbiamo noi moderni deriva soprattutto dagli attacchi dei loro avversari, e questo naturalmente ne da un quadro distorto: come, per esempio, l'immagine della Resistenza francese che potrebbe scaturire dai documenti della Gestapo.
Nel complesso, tuttavia, sembra che Gesù venisse visto dai primi « eretici » in uno dei due modi seguenti. Per alcuni era un dio vero e proprio, con pochi o punti attributi umani. Per altri era un profeta mortale, sostanzialmente non diverso dal Budda, o da Maometto che venne mezzo millennio più tardi.
Uno dei primi eresiarchi fu Valentino, nato ad Alessandria, che trascorse a Roma l'ultima parte della sua vita (140-160 d.C.) per poi andare a Cipro, dove morì nel 165. Ai suoi tempi, Valentino era molto influente, e tra i suoi seguaci contava uomini come Claudio Tolomeo. Affermando di avere in suo possesso un corpus di « insegnamenti segreti » di Gesù, rifiutava di sottomettersi all'autorità di Roma, e affermava che la gnosi personale aveva la precedenza su ogni gerarchia. Logicamente, Valentino e i suoi seguaci furono tra i bersagli prediletti degli strali di Ireneo.
Un altro bersaglio fu Marcione, vescovo e ricco armatore, che arrivò a Roma intorno al 140 e quattro anni dopo fu scomunicato. Marcione propugnava una distinzione radicale tra « legge » e « amore », che associava rispettivamente all'Antico e al Nuovo Testamento; e alcune di queste idee marcionite riaffiorarono ben mille anni più tardi in opere come il Perlesvaus. Marcione fu il primo scrittore che compilò un elenco canonico dei libri della Bibbia, un elenco che escludeva tutto l'Antico Testamento. Fu appunto per rispondere a Marcione che Ireneo compilò il suo canone, divenuto poi la base della Bibbia quale la conosciamo oggi.
Il terzo grande eresiarca di quel periodo e, sotto molti aspetti, il più sconcertante, fu Basilide, uno studioso alessandrino che scrisse tra il 120 e il 130 d.C. Basilide conosceva molto bene tanto le scritture ebraiche quanto i Vangeli cristiani. Inoltre, conosceva altrettanto bene il pensiero egizio ed ellenistico. Si ritiene che abbia scritto non meno di ventiquattro commenti ai Vangeli. Secondo Ireneo, propugnava un'eresia terribile. Basilide affermava che la Crocifissione era una frode, che Gesù non era morto sulla croce, e che il suo posto era stato preso da un sostituto, Simone di Cirene. (19) Questa affermazione sembrerebbe molto bizzarra. Tuttavia si dimostrò straordinariamente tenace e longeva. Ancora nel VII secolo, il Corano sosteneva esattamente la stessa cosa: un sostituto, che secondo la tradizione sarebbe stato Simone di Cirene, aveva preso il posto di Gesù sulla croce. (20) E lo stesso argomento era sostenuto dall'ecclesiastico anglicano che ci aveva inviato la lettera misteriosa di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, la lettera che alludeva alla « prova incontrovertibile » della sostituzione.
Se c'era una regione dove erano particolarmente radicate le eresie più antiche, questa era l'Egitto, anzi più esattamente Alessandria, la più colta e cosmopolita città del mondo, a questi tempi, la seconda in ordine di grandezza in tutto l'Impero romano, e crogiolo di una sbalorditiva varietà di dottrine, insegnamenti e tradizioni. Dopo le due rivolte in Giudea, l'Egitto fu il rifugio più accessibile per i profughi ebrei e cristiani, molti dei quali si stabilirono ad Alessandria. Non è quindi sorprendente che proprio l'Egitto fornisse la prova più convincente a sostegno della nostra ipotesi, contenuta nei cosiddetti Vangeli gnostici o, più esattamente, nei Rotoli di Nag Hammadi.
Nel dicembre 1945 un contadino egiziano, mentre scavava in cerca di terriccio fertile nei pressi del villaggio di Nag Hammadi nell'Alto Egitto, scoprì una giara di terracotta. Conteneva tredici codici - libri o rotoli di papiro - rilegati in pelle. Ignari dell'importanza della scoperta, il contadino e i suoi familiari usarono alcuni di quei codici per accendere il fuoco. Alla fine, comunque, quelli superstiti attirarono l'attenzione degli esperti; e uno, esportato clandestinamente dall'Egitto, fu offerto in vendita al mercato nero. Una parte di questo codice, che fu acquistata dalla Fondazione C.G. Jung, conteneva l'ormai famoso Vangelo di Tommaso.
Intanto il governo egiziano, nel 1952, nazionalizzò quanto restava dei Rotoli di Nag Hammadi. Solo nel 1961, tuttavia, venne riunita una commissione internazionale di esperti per copiare e tradurre tutto il materiale. Nel 1972 apparve il primo volume dell'edizione fotografica. E nel 1977 l'intera collezione dei rotoli apparve per la prima volta in traduzione inglese.
I Rotoli di Nag Hammadi sono una raccolta di testi biblici a carattere sostanzialmente gnostico, che risalgono alla fine del IV secolo o all'inizio del V, intorno al 400 d.C. Sono copie, e gli originali risalgono a date molto anteriori. Alcuni - ad esempio il Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Verità e il Vangelo degli Egizi - sono menzionati dai primissimi padri della Chiesa, come Clemente d'Alessandria, Ireneo e Origene. I filologi hanno accertato che alcuni dei testi contenuti nei rotoli, se non tutti, non sono posteriori al 150 d.C. E almeno uno di essi può includere materiale ancora più antico dei quattro Vangeli canonici del Nuovo Testamento. (21)
Presa nel suo insieme, la raccolta di Nag Hammadi costituisce un repertorio inestimabile di documenti protocristiani, alcuni dei quali possono vantare un'autorità eguale a quella dei Vangeli. E c'è di più: alcuni di questi documenti possono rivendicare una veridicità assolutamente unica. Innanzi tutto, sfuggirono alla censura e alle revisioni dell'ortodossia romana. In secondo luogo, erano stati composti per un pubblico egiziano e non romano, e quindi non sono alterati e modificati in senso filoromano. Infine, è possibile che si basino su fonti di prima mano o su testimonianze oculari, ad esempio su racconti orali di Ebrei fuggiti dalla Terra-santa, che forse avevano conosciuto personalmente Gesù e potevano dare la loro versione con una fedeltà storica che i Vangeli non potevano permettersi di rispettare.
Non è sorprendente che i Rotoli di Nag Hammadi contengano parecchi passi ostili all'ortodossia e ai « seguaci del messaggio ». In un codice non datato, il Secondo trattato del Grande Seth, ad esempio, Gesù viene presentato esattamente come nell'eresia di Basilide: sfugge alla morte sulla croce grazie a un'ingegnosa sostituzione. Nel passo che riportiamo. Gesù parla in prima persona:
“Io non soccombetti a loro come essi intendevano... E non morii in realtà ma solo in apparenza, perché essi non gettassero vergogna su di me... Perché la mia morte, che essi credono avvenisse [avvenne] a loro, nel loro errore e cecità, poiché inchiodarono a morire il loro uomo... Fu un altro, il loro padre, che bevve il fiele e l'aceto; non fui io. Essi mi percossero con la canna; fu un altro, Simone, che portò la croce sulle spalle. Fu un altro, colui al quale imposero la corona di spine... E io ridevo della loro ignoranza.” (22)
Con coerenza convincente, altre opere della raccolta di Nag Hammadi attestano un dissidio accanito e protratto fra Pietro e la Maddalena: un dissidio che sembra rispecchiare uno scisma tra i « seguaci del messaggio » e i seguaci della stirpe. Nel Vangelo di Maria, Pietro si rivolge alla Maddalena con queste parole: « Sorella, noi sappiamo che il Salvatore ti amava più di ogni altra donna. Rivelaci le parole del Salvatore che tu ricordi... che tu conosci e che noi non conosciamo ». (23) Più tardi, Pietro chiede indignato agli altri discepoli: « Davvero egli parlava privatamente a una donna e non apertamente a noi? Dobbiamo tutti volgerci ad ascoltarla? La preferiva a noi? ». (24) E ancora più avanti, uno dei discepoli risponde a Pietro: « Sicuramente il Salvatore la conosce molto bene. Per questo l'amava più di noi ». (25)
Nel Vangelo di Filippo, la ragione del dissidio appare evidente. Ad esempio, ricorre con insistenza l'immagine della camera nuziale. Secondo il Vangelo di Filippo, « il Signore fece tutto in un mistero, un battesimo e una cresima e un'eucarestia e una redenzione e una camera nuziale ». (26) Certo, la camera nuziale, a prima vista, può sembrare simbolica o allegorica. Ma il Vangelo di Filippo è più esplicito: « Vi erano tre che camminavano sempre con il Signore: Maria sua madre, e la sorella di questa, e Maddalena, colei che era chiamata la sua compagna ». (27) Secondo un filologo, la parola « compagna » deve essere tradotta « sposa ». (28) I motivi per farlo ci sono, perché il Vangelo di Filippo diventa più esplicito ancora:
E la compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Ma Cristo l'amava più di tutti i discepoli e spesso la baciava sulla bocca. Gli altri discepoli erano offesi ed esprimevano disapprovazione. Gli dissero: « Perché tu l'ami più di tutti noi? ». E il Salvatore rispose: « Perché non amo voi come amo lei? ». (29)
Il Vangelo di Filippo spiega: « Non temete la carne e non amatela. Se la temete, vi dominerà. Se l'amate, vi inghiottirà e vi paralizzerà ». (30) In un altro punto, questa elaborazione viene tradotta in termini concreti: « Grande è il mistero del matrimonio! Perché senza di esso il mondo non sarebbe esistito. Ora, l'esistenza del mondo dipende dall'uomo, e l'esistenza dell'uomo dal matrimonio ». (31) E verso la conclusione dello stesso Vangelo di Filippo c'è questa affermazione: « Vi è il Figlio dell'uomo e vi è il figlio del Figlio dell'uomo. Il Signore è il Figlio dell'uomo, e il figlio del Figlio dell'uomo è colui che è creato tramite il Figlio dell'uomo ». (32)
Note:
1 - Eisler, Messiah Jesus, pp. 606 sgg.
2 - Chadwick, The Early Church, p. 125.
3 - Goodenough, Jewish Symbols, vol. 7, pp. 178 sgg.
4 - Cfr. Halsberghe, The Cult of Sol Invictus. L'autore spiega che il culto fu introdotto a Roma nel III secolo d.C. dall'imperatore Eliogabalo. Quando Aureliano operò la sua riforma religiosa, si trattò di un ristabilimento del culto del Sole Invitto nella forma in cui era stato introdotto.
5 - 218 voti favorevoli, 2 contrari. Il Figlio fu quindi dichiarato identico al padre.
6 - Solo a partire dal 384 il vescovo di Roma assunse il titolo di « papa ».
7 - C'è la possibilità, tuttavia, che ne vengano scoperti altri. Nel 1976 un cospicuo numero di antichi manoscritti fu scoperto nel monastero di Santa Caterina sul monte Sinai. Il ritrovamento venne tenuto segreto per circa due anni, prima che nel 1978 ne avesse notizia un giornale tedesco. Vi sono migliaia di frammenti, alcuni dei quali anteriori al 300 d.C., incluse otto pagine mancanti nel Codex Sinaiticus custodito nel British Museum. I monaci che conservano il materiale hanno accordato accesso soltanto a uno o due studiosi greci. Cfr. « International Herald Tribune » (27 aprile 1978).
8 - Vangelo di Pietro, 5:5.
9 - Vangelo dell'Infanzia di Gesù Cristo, 2:4.
10 - Maccoby, Revolution in Judaea, p. 129. L'autore aggiunge che la presentazione di Gesù come antifariseo faceva probabilmente parte del tentativo di mostrarlo come un ribelle contro la religione ebraica, anziché contro la dominazione romana.
11 - Brandon, Jesus and the Zealots, p. 327. Cfr. inoltre Vermes, Jesus the Jew, p. 50: « Zelota o no, Gesù fu indubbiamente accusato, giudicato e condannato come se lo fosse ».
12 - Allegro, Dead Sea Scrolls,p. 167.
13 - Ibid.,p. 175.
14 - Josephus, Jewish Was, p. 387 Ed. it. Flavio Giuseppe, La guerra giudaica, libro VII, cap. 8, Milano 1974.
15 - Ibid., p. 387. Trad. it. ibid.
16 - Ibid., Appendice, p. 400.
17 - Eisler, Messiah Jesus, p. 427.
18 - Ibid., p. 167.
19 - Ireneo, Five Books... against Heresies, traduzione inglese dei Cinque libri di Ireneo, p. 73.
20 - Corano, 4: 157. Cfr. inoltre Parrinder, Jesus in the Qur'an, pp.108 sgg.
21 - Pagels, Gnostic Gospels, pp. xvi sgg. Trad. it. I Vangeli gnostici, a cura di Luigi Moraldi, Milano 1981.
22 - The Second Treatise of the Great Seth, in Robinson, J., Nag Hammadi Library
in English, p. 332.
23 - The Gospel of Mary, in Robinson, J., Nag Hammadi Library in English, p. 472.
24 - Ibid., p. 473
25 - Ibid.
26 - The Gospel of Philip, in Robinson, J., Nag Hammadi Library in English, p. 140.
27 - Ibid.,pp. 135sgg.
28 - Phipps, Was Jesus Married?, pp.136 sgg.
29 - The Gospel of Philip, in Robinson, J., Nag Hammadi Library in English, p. 138.
30 - Ibid., p. 139.
31 - Ibid.
32 - Ibid., p. 148.
Da wikipedia:
Da wikipedia:
Gli Zeloti (in ebraico: Ḳannaim) erano un gruppo politico-religioso giudaico apparso all'inizio del I secolo, partigiani accaniti dell'indipendenza politica del regno ebraico, nonché difensori dell'ortodossia e dell'integralismo ebraici. Considerati dai Romani alla stregua di terroristi e criminali comuni, si ribellavano con le armi alla presenza romana in Palestina.
Fondati da Giuda il Galileo, ebbero stretti rapporti con la comunità essena di Qumran di cui furono il braccio armato. Svolsero un ruolo importante nella grande rivolta del 66-70, la maggior parte di essi perì durante la presa di Gerusalemme da parte di Tito Flavio Vespasiano nel 70.
Il termine zelota, in ebraico kanai, indica una persona dotata di un zelo comportamentale nei confronti di Dio. Il termine latino deriva dalla traduzione di kanai in greco, cioè zelotes, che significa "emulatore", "ammiratore" o "seguace".
Storia
Nel I secolo lo zelotismo va impadronendosi gradualmente delle masse, urbane e ancor più di campagna, le porta al fanatismo e le conduce alla violenza dei predoni e dei sicari, che porteranno alla catastrofe finale della prima guerra giudaica.
Nel I secolo lo zelotismo va impadronendosi gradualmente delle masse, urbane e ancor più di campagna, le porta al fanatismo e le conduce alla violenza dei predoni e dei sicari, che porteranno alla catastrofe finale della prima guerra giudaica.
La caduta di Gerusalemme tuttavia non segnò la sconfitta dello zelotismo; gli ultimi zeloti infatti, a capo dei quali c’era Eleazaro ben Simone, si rifugiarono, in un estremo tentativo di resistenza, nella fortezza di Masada, a sud del deserto di Giuda, vicino al Mar Morto. Quando si videro perduti, tutti i 960 zeloti si diedero la morte.
Stile
Gli Zeloti difendevano ferocemente i precetti della Legge mosaica, così come anche lo stile di vita ebraico ed il nazionalismo israelita. In particolare gli Zeloti erano molto interessati nel difendere la Giudea dal dominio dei Romani, che venivano considerati idolatri e quindi nemici dell'ebraismo. Spesso venivano chiamati anche Sicarii, dal momento che andavano in giro con i pugnali (sicæ) nascosti sotto la cappa e che venivano utilizzati dagli Zeloti per ferire o persino uccidere chiunque fosse colto a compiere sacrilegi, atti offensivi o anche omissioni nei confronti della fede giudaica.
Gli Zeloti difendevano ferocemente i precetti della Legge mosaica, così come anche lo stile di vita ebraico ed il nazionalismo israelita. In particolare gli Zeloti erano molto interessati nel difendere la Giudea dal dominio dei Romani, che venivano considerati idolatri e quindi nemici dell'ebraismo. Spesso venivano chiamati anche Sicarii, dal momento che andavano in giro con i pugnali (sicæ) nascosti sotto la cappa e che venivano utilizzati dagli Zeloti per ferire o persino uccidere chiunque fosse colto a compiere sacrilegi, atti offensivi o anche omissioni nei confronti della fede giudaica.
Fonti sull'origine del movimento zelota sono le testimonianze convergenti di Giuseppe Flavio e dell'evangelista Luca.
« In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei così detti sicari (Ekariots), che commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla folla, nascondevano sotto le vesti dei piccoli pugnali e con questo colpivano i loro avversari. Poi, quando questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e recitavano così bene da essere creduti e quindi non riconoscibili »
(Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica II- 12)
Gli Zeloti hanno sostenuto la violenza contro i Romani, i loro collaboratori ebrei ed i Sadducei per aver razziato i loro provvigionamenti e le altre attività della causa zelota. La testimonianza dello storico ebreo sulla dottrina degli zeloti è interessante:
« Giuda il Galileo introdusse una quarta setta i cui membri sono in tutto d'accordo con i Farisei, eccetto un invincibile amore per la libertà che fa loro accettare solo Dio come signore e padrone. Essi disprezzano i diversi tipi di morte e i supplizi dei loro parenti e non chiamano nessun uomo signore. » (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XVIII, 23)
È facile desumere da qui che lo zelotismo non è che un fariseismo estremo, che coinvolge il piano politico assieme a quello religioso per il fatto di non obbedire ad altri che a Dio. I termini che indicano i combattenti messianisti (chrestianoi in greco) sono:
in ebraico: Qanana (Cananei) e Bariona,
in greco: Zelotes e Lestes,
in latino: Sicarii, Latrones e Galilaei (Sicari, Ladroni e Galilei).
Più articolata la questione circa il possibile coinvolgimento degli apostoli di Gesù Cristo:
Giuda detto Iscariota, nel caso fosse vera l'equivalenza tra Iscariota e Sicario.
Simone detto Pietro nel caso fosse correttamente attributo il soprannome di Bariona.
Simone il Cananeo chiamato sempre Simone lo Zelota nel Vangelo di Luca, per distinguerlo da Simone Pietro.
Interpretando un passo del vangelo di Luca nel quale Giacomo di Zebedeo e suo fratello Giovanni chiedono a Gesù il permesso di incendiare un villaggio di samaritani dal quale il Cristo e i suoi seguaci erano stati respinti, lasciando intendere fosse quella la norma di comportamento (atteggiamento che si discosta dalla visione odierna di Cristo e i suoi Apostoli, più vicina invece all'idea che ancora è rimasta per gli Zeloti e gli Esseni e la parola “sicario” ad essi associata e tuttora in uso).
Negli Atti degli Apostoli, il fariseo Gamaliele, accomuna la situazione degli apostoli appena arrestati alla storia di due capi zeloti, Giuda il Galileo e Teuda:
« Ma essi, udendo queste cose fremevano d'ira, e si proponevano di ucciderli. Ma un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, alzatosi in piedi nel sinedrio, comandò che gli apostoli venissero un momento allontanati. Poi disse loro: «Uomini d'Israele, badate bene a quello che state per fare circa questi uomini. Poiché, prima d'ora, sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno; presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini; egli fu ucciso, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, ai giorni del censimento, e si trascinò dietro della gente; anch'egli perì, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi. E ora vi dico: tenetevi lontani da loro, e ritiratevi da questi uomini; perché, se questo disegno o quest'opera è dagli uomini, sarà distrutta; ma se è da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio». » (Atti 5,33-39)
Secondo gli studi di Eisemann sembrerebbe, ma non è certo, che l'elemento zelota nell'originale gruppo di apostoli sia stato mascherato e sovrascritto per dar modo alla Chiesa cristiana di Paolo di Tarso di assimilarsi all'elemento romano e di far proseliti tra i gentili. Universalmente riconosciuto come zelota da ambienti ecclesiastici e accademici è Simone il Cananeo.
Tra i reperti di Qumran si ritrovano tracce che collegano la comunità Essena ai rivoltosi Zeloti, come ad esempio il Rotolo della guerra.
« ... Sono divisi (gli esseni) fin dall'antichità e non seguono le pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all'estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta (non ebraica) asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in una città per tema di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si lascia circoncidere; qualora non acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto da questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte. » (Ippolito Romano, Refutatio (IX, 26)
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